VUOTI A PERDERE
E’ la quiete che
precede la tempesta. (e poi lo sfacelo). Quella dell’arte raffigurativa
italiana degli anni 20/30. Con la (simpaticissima) “Donna
al caffè” di Antonio Donghi.
E la “Ragazza in bianco” di Gigi Chessa. Sono ambedue in attesa. Ma sembrano vuote.
Dentro. Senza pulsioni. Senza una finalità. Sono semplicemente in attesa. Ma la
loro sembra essere un’attesa senza scopo. E’ la stessa attesa con il suo vuoto
di idealità concrete che permea la società italiana anni 20 e 30. Ma è una
vuotezza che è stata colmata dal sopraggiungere della muscolarità in maschera del successivo ventennio. Cioè con il successivo sfacelo. Ed anche in
questo caso l’arte (figurativa) ha, per così dire, dato corpo alle ombre.
Offrendo un contenuto visivamente raffigurativo alle esigenze di “ordine e progresso” che sembrano essere preminenti nella società
italiana degli anni 20. Cercando giustificare “il dopo” con quello che sembrava esserci “prima”. Con il “prima” rappresentato da quegli edifici già in dissolvimento
anteriormente alla loro definitiva demolizione (cfr il dipinto di Mario Sironi “demolizione
dei borghi”) ed aforisticamente
rappresentativi dello stato della società italiana degli anni 20. Con il
successivo sopraggiungere dell’” ordine ricostituito”, rappresentato da altre opere di M.Sironi (tra le quali “l’industria”,”
Periferie” e quant’altro). Nonché da altre
opere anch’esse raffiguranti la muscolarità della “italica gens” e cioè raffigurative di una “razza forte”, una “super
razza”. Che forse sono uno strizzare l’occhio a quello che sopraggiungerà
in seguito. (La difesa della razza ?).
Bluewind
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