LUCI E ZONE
D’OMBRA
In effetti uno dei
principi che sembrano regolare la nostra attuale esistenza è (oltre al principio di indeterminazione) il principio di contraddizione. (Ciò in
attesa che, nel nostro prosieguo, si chiarisca eventualmente che tratterebbesi
di una contraddizione inesistente. Che sussiste esclusivamente poiché ci è
stato attribuito, nella nostra esistenza terrena, solo la capacità di vedere
poco….molto poco. Escludendo in questo “poco”
le ragioni effettive e la struttura di ciò che scorgiamo). DERRIDA fa, per così dire, a mani basse, costante applicazione del
suddetto principio (di contraddizione).
Per Lui “si è veri filosofi solo non essendolo”. (E, secondo WW, ci riesce benissimo). “Si è filosofi….solo facendo i distruttori
della filosofia”. A tale teoria è stata attribuita la denominazione di “decostruzione”. (dei concetti, delle
teorie filosofiche e non solo). La tecnica è questa: si prendono due o tre
parole, e ci si realizza un gioco nel quale si fa ricorso al sofisma. Per
evidenziare che ciò che tali parole rappresentano è del tutto inesistente o
completamente diverso da ciò che vorrebbero indicare. E così le dicotomie natura/spirito, corpo/anima, essere
/divenire si trasformano in qualcosa di diverso o di inesistente. In
conseguenza della loro dialettica e reciproca contraddittoria ma irrinunciabile
interdipendenza. Che non le fa veramente antitetiche, poiché
l’una non potrebbe concepirsi se non esistesse l’altra. Infatti lo stesso “essere” (al presente) non potrebbe
concepirsi se non ci fosse, in sua
contrapposizione e delimitazione, anche il “divenire”. Ma in tal caso l’essere non esisterebbe, in quanto
conterrebbe in sè (in un rapporto di inevitabile interdipendenza) anche il “divenire”. E la stessa sorte
toccherebbe anche a quest’utimo. Nichilismo
assoluto. In tal modo anche la nostra stessa esistenza risulterebbe
annullata. Infatti, come sostiene Derrida,
la nostra vita è un continuo misurarci con l’idea della nostra fine. E quindi
nel nostro essere in vita è già presente una forma di mortalità. Prima ancora
che quest’ultima intervenga. Conseguentemente se la nostra mortalità fa parte
della nostra vita e se con essa ci misuriamo costantemente ciò significa che vivere e filosofare è, in sostanza,
un’imparare a morire. Che costituisce premessa fondamentale per imparare a
vivere. Questa teoria (e tutte le
precedenti) fanno venire alla mente il sofisma di Achille e la freccia, con il quale Zenone ritenne di dimostrare
l’inesistenza del movimento. E dai “Promessi
Sposi” interviene anche Don Ferrante,
(reclamando, in ordine a ciò, una specie di primogenitura) poichè, nonostante
avesse dimostrato l’inesistenza della peste, ne venne ugualmente colpito. A
questo punto potrebbe farsi entrare in scena PIRANDELLO con la sua battuta finale del “Così è ( se vi pare)” : “Ed
ecco, Signori, così parla la verità” (volge attorno uno sguardo di sfida
derisoria) “Siete contenti ?”
(scoppia a ridere) “Ah !, ah !, ah !...”
L’immagine che
accompagna il post potrebbe anche significare che…..non è tutta luce quella che brilla… (in effetti vi si intravedono
molte zone d’ombra…piuttosto scure).
Westwind
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