lunedì 1 novembre 2010

MARGHERITE DI CAMPO (L'Emilia)


MARGHERITE DI CAMPO       (L’Emilia)
Nella piazza principale della piccola cittadina emiliana, del tutto deserta, trovai sotto i portici un piccolo bar, ove mi feci preparare un caffè.
Il barista, ne era anche il gestore; mi si esibì in una serie di roboanti frasi ad effetto sui problemi locali, sul modo di vivere, sulle varie sicurezze esistenziali e sul museo limitrofo.. (si astenne, fortunatamente, dal parlare di politica).
Seguivo con apparente compiacimento le sue orgogliose (ed a mio avviso, piuttosto discutibili) affermazioni senza interloquire. Notai che sembrava orgoglioso della sua facilità di parola e sicuro di ciò che affermava; sembrava quasi che credesse di rivelare verità assolute ed indiscutibili. Era simpaticissimo. Mi sarebbe piaciuto frequentare normalmente quel bar anche nei giorni successivi ed intavolare, con cautela, un cordiale confronto di valutazioni, intervallato dai miei consueti se e ma per incrinare in misura almeno infinitesimale le sue certezze. ( E’ un gioco che spesso mi riesce  e che, a volte, mette in imbarazzo il mio interlocutore).
Appresi, da quanto andava dicendo, che nelle vicinanze v’era una mostra di quadri di un pittore regionale alquanto famoso, mi ci recai; ero l’unico visitatore .
Il custode mi lanciò uno sguardo di sottovalutazione e mi fornì, senza esserne richiesto, alcuni elementari chiarimenti sulla mostra e sull’autore dei quadri.
Ritengo fosse un professore di scuole medie in pensione che, presumibilmente, prestava la sua opera gratuitamente per esclusivo amore dell’arte o per non appesantire con il suo compenso gli oneri comunali.
Con la mia conoscente fu peraltro più espansivo (forse sollecitato dal sex appeal  femminile), rimase a discorrere con lei tutto il tempo che io impiegai nella mia visita (peraltro piuttosto veloce) della mostra
Venne l’ora del pranzo.
Ci mettemmo alla ricerca della trattoria consigliataci.
Non si vedeva alcun passante in giro.
Intercettammo una vecchietta, piuttosto agile ed ossuta, che pedalava velocemente in bicicletta e che ci invitò a seguirla.
La seguimmo attraverso un dedalo di stradine e viuzze, tutte regolarmente deserte, fino a che sboccammo sulla piazza ove trovavasi il bar. Ebbi il sospetto che la vecchietta fosse alquanto svanita e, ad un’incrocio, avendo lei voltato a sinistra, noi, cautamente, svoltammo a destra, perdendola di vista, come era nostro intento.
Chiedemmo ad un viandante indicazioni per raggiungere la trattoria.
Ma, inesorabilmente, comparve alle nostre spalle la vecchietta, rimproverandoci per non averla seguita.
Anche il viandante, sorridendo, sembrò associarsi al rimprovero, con un breve cenno del capo.
Fummo pertanto costretti a seguire la vecchietta e finalmente riuscimmo a raggiungere la trattoria.
Vi scorgemmo un insolito tavolo con il ripiano a struttura curvilinea, sul quale v’era un vaso con un’imponente mazzo di margheritine di campo, (sul quale la luce produceva un iridescente bagliore) di una specie mai vista prima d’ora.
Il gestore della trattoria ci spiegò che il tavolo, accostato ad altri consimili, avrebbe formato un unico grande tavolo circolare, intorno al quale, subito dopo la liberazione e negli anni successivi, avevano preso posto i componenti del CLN e del consiglio comunale.
Le margherite erano quelle invernali, alte circa mezzo metro, originarie del luogo, tipiche dei terreni molto aridi, secchi e sodivi.
Quelle del tavolo erano secche, presto un suo amico ne avrebbe portate altre più fresche.
Quest’ultimo arrivò subito dopo con un gran mazzo di margherite fresche ( fresche per modo di dire, in quanto si limitavano ad essere meno secche delle altre).
Ci travolse con profluvio di entusiastiche esclamazioni e domande, come se ci fossimo già conosciuti in passato e non ci fossimo visti da molto tempo.
(Il pranzo, inutile dirlo, andò alla grande, con cibi di genuina e peraltro sofisticata semplicità).
Allorchè ci congedammo, ci fu detto che, la prossima volta, avremmo dovuto portar loro una bottiglia di Frascati (come se fosse facile trovarlo, qui a Roma).
La chiave di comprensione della vicenda e presumibilmente di tutta l’Emilia (come ho potuto rilevare anche sulla base di consimili esperienze)  è, a mio avviso, prevalentemente costituita dalla pressocchè totale partecipazione della gente a quello che viene considerato il bene comune e cioè l’impulso ad evidenziare la parte migliore di se stessi, la propria sicurezza esistenziale, la propria efficienza e laboriosità.
Tutti indifferentemente si aiutano l’un l’altro  come fossero appartenenti allo stesso gruppo familiare ( la vecchietta mi ha condotto alla trattoria  praticamente tenendomi per mano, non tanto per rendermi una cortesia ma per consentire al suo gestore di non perdere una occasione di introito. All’occorrenza, costui avrebbe dato sicuramente una mano alla vecchietta).
Ciò può avere anche qualche aspetto negativo, è vero, poiché questo vincolo di  colleganza quasi familiare può spingere i suoi componenti  a non diversificarsi in altre scelte ed a procedere, per istinto o quasi, forse troppo unidrezionalmente, ma non può negarsi che questa sia una dimensione nella quale l’esistenza nell’ambito di una collettività risulta essere estremamente appagante (e non è poca cosa).
E’ questa una regione dove (e purtroppo me ne sono accorto solo adesso) converrebbe proprio viverci (dentro).
( In un film di Fellini “Amarcord” una delle protagoniste rivolge, sorridendo, l’invito: “Gradisca….?” Se fosse la stessa regione emiliana a rivolgermela, si potrebbe rispondere: “E perché no ….?”)


                                                                                       Bluewind
















Nessun commento:

Posta un commento